Scavare, girare, scrutare, sbrogliare, amalgamare, stratificare.
Quando qualcuno come Umberto Ippoliti ricerca lo fa senza scampo, senza fine e fondo, con tutta l’energia del corpo, quella fisica e quella spirituale, angosciata ma contenuta perché deve sopravvivere circondata dalla città e dal passaggio di persone, eventi, scontri, senza sosta in una Roma mai stanca di assorbire.
Inizia ma non ha termine questo cavalcare selvaggio dell’artista che invece di rimanere legato ad un carattere preciso si divincola tra gabbie dorate da lui stesso costruite.
Mai contento e sempre turbato ma deciso, graffia i suoi supporti, anzi all’inizio li carica materialmente per far si che prendano vita e che inizino a sussurrare il passo successivo che lui stesso deve compiere.
Umberto compie.
Torna, dopo aver utilizzato qualsiasi prestanza fisica sua e degli oggetti, ad una tabula rasa ricca ancor di più di significati e vuota di elementi materici, incastrandosi tra le striature delle sue pennellate coperte di bianco, celate da quel pensiero profondo della continua ricerca, ossessionato dai suoi simboli, croci, uccelli, ombre nere, rune piroghe, che lo accompagnano come fedeli scudieri e che si incontrano nelle sue strutture a conferma che qua, mondo in continua mutazione, c’è sempre lui con i suoi contrasti e le sue passioni ma comunque Umberto Ippoliti.
E’ tutto un fluire talmente rapido che le nuvole si confondono con i sassi: non cerca i soffici “contorni” inglesi, ma la nuvola nel suo insieme di cielo, di cambiamento, trasformazione: il sasso. Eccolo di nuovo sottoforma di elementi naturali, l’artista che non saprà mai se essere sasso o nuvola.
In questo big bang la galassia ippolitiana si forma, ed ecco comparire costellazioni, fatte di croci rinnegate e stereotipi modificati, umanizzati, comunque riletti e moltiplicati. Codici formati da lettere e numeri, torri e porte aperte, e scelte da prendere. Ancora, in continuazione.
Il tutto in una scenografia da film: sembra il momento del combattimento dei samurai richiamati dal fruscio delle canne di bambù, foglie che volano, sipario che si apre all’infinito.