Memorie, ombre e segni. (2019)

Queste grandi carte trattengono il filo lontano di sogni e memorie trascorse, il colore come un mare s’addensa e si ritira lasciando scorgere l’inapparente: ombre e detriti, segni e memorie di un passato mai disperso.

Affiorano dal colore materiali, visi e fisionomie antiche, retaggi della Storia; archeologie, reperti urbani si coniugano con il senso attuale di una Storia che scansa la citazione per divenire semplicemente ombra del desiderio: Apollo, Dioniso, Flora Farnese, anche il sogno non è che un’ombra. Il suono dell’ombra.

Deturpazione di un feticcio, azione di strappo e ricostruzione rispetto alla verità di un’immagine. Deturpare nella sua accezione positiva significa per l’artista aggiungere e strappare frammenti, ritornare su un trascorso mai dimenticato del Tempo. Così un profilo ellenico, forse miceneo, emerge dal colore per poi fuggire mescolandosi tra le pieghe dell’ombra.

In questi lavori è evidente quanto ogni riferimento alla mitologia riannodi i legami mentali con un passato che ritorna: il volto, la riconoscibilità di una fisionomia oltrepassano l’attimo dell’inatteso per poi sprofondare in un oceano gonfio di ombre graffiate dal mondo. Dal Caos all’Omega. Affiorano sul filo della memoria immagini trascorse: cattedrali barocche, gotiche vengono proiettate su una superficie dura e incongrua oppure tessuta di segni minuti, ideogrammi strappati da un antico abbecedario cinese.

La mitologia è soltanto un pretesto, il punto di lancio per sogni e incubi, metafore dell’inconscio, la deriva di un’urbanizzazione violenta, lacerata. Per terra, sulla superficie, si addensano oggetti di recupero, quel che resta di un’umanità trascorsa.

Leggerezza e spostamento, Ippoliti narra storie attraverso la pittura; non è più l’artista ma il naufrago per antonomasia, colui che ricerca nell’arte un approdo che non troverà mai.

Lidia Reghini di Pontremoli

I segni dell’anima (2008 – 2009)

“Non esiste un’arte antica e moderna bella o brutta, esistono quei trenta secondi in cui ti soffermi ad osservare un’opera e li puoi provare attrazione o indifferenza”

Umberto Ippoliti non ha timore a confessare l’attitudine istintuale, arcaica, onirica che lo conduce all’esperienza estetica. Una disposizione che trova testimonianza in “i segni dell’anima (2007 – 2008)”, la mostra allestita fino al 4 settembre all’Oratorio di San Francesco Saverio del Caravita. “L’apparizione di sette grandi tele squarcia l’immobilità dello spazio – sottolinea Lidia Reghini di Pontremoli, curatrice della mostra – sette colpi lanciati negli occhi di ci guarda: ogni tela è notte, buio squarciato da improvvisi lampi su un’acqua lacustre. Dal buio affiorano ectoplasmi, forme dimenticate dal tempo galleggiano su una materia umorale, bimorfica. Colori cupi come onde notturne s’addensano e si distendono inghiottendo forme e memorie classiche.”

Giuseppe Serao – Articolo tratto da “La Repubblica – ROMA” – 23 Agosto 2010.

Le carte del silenzio (2005 – 2007)

Scavare, girare, scrutare, sbrogliare, amalgamare, stratificare.
Quando qualcuno come Umberto Ippoliti ricerca lo fa senza scampo, senza fine e fondo, con tutta l’energia del corpo, quella fisica e quella spirituale, angosciata ma contenuta perché deve sopravvivere circondata dalla città e dal passaggio di persone, eventi, scontri, senza sosta in una Roma mai stanca di assorbire.

Inizia ma non ha termine questo cavalcare selvaggio dell’artista che invece di rimanere legato ad un carattere preciso si divincola tra gabbie dorate da lui stesso costruite.

Mai contento e sempre turbato ma deciso, graffia i suoi supporti, anzi all’inizio li carica materialmente per far si che prendano vita e che inizino a sussurrare il passo successivo che lui stesso deve compiere.

Umberto compie.

Torna, dopo aver utilizzato qualsiasi prestanza fisica sua e degli oggetti, ad una tabula rasa ricca ancor di più di significati e vuota di elementi materici, incastrandosi tra le striature delle sue pennellate coperte di bianco, celate da quel pensiero profondo della continua ricerca, ossessionato dai suoi simboli, croci, uccelli, ombre nere, rune piroghe, che lo accompagnano come fedeli scudieri e che si incontrano nelle sue strutture a conferma che qua, mondo in continua mutazione, c’è sempre lui con i suoi contrasti e le sue passioni ma comunque Umberto Ippoliti.

E’ tutto un fluire talmente rapido che le nuvole si confondono con i sassi: non cerca i soffici “contorni” inglesi, ma la nuvola nel suo insieme di cielo, di cambiamento, trasformazione: il sasso. Eccolo di nuovo sottoforma di elementi naturali, l’artista che non saprà mai se essere sasso o nuvola.

In questo big bang la galassia ippolitiana si forma, ed ecco comparire costellazioni,  fatte di croci rinnegate e stereotipi modificati, umanizzati, comunque riletti e moltiplicati. Codici formati da lettere e numeri, torri e porte aperte, e scelte da prendere. Ancora, in continuazione.

Il tutto in una scenografia da film: sembra il momento del combattimento dei samurai richiamati dal fruscio delle canne di bambù, foglie che volano, sipario che si apre all’infinito.

Carte sporche (2002 – 2004)

Se dobbiamo fare i conti in tasca ad un artista, categoria che in genere tende a toglierseli gli anni, ecco Umberto Ippoliti. Ne dimostra di meno, ma non ha ancora cinquant’anni. E’ conosciuto nei locali di avanguardia, che egli non ama. Ma deve seguirli. Questo a Roma come a New York, stando a una laconica biografia. Giovanna Foresio, che attualmente è sua testimone nella vita d’artista, assicura: “Ippoliti è conosciuto negli Stati Uniti dove ha un mercato fiorente”: Oltre che a Roma si intende. Ippoliti è romano. Vive in Trastevere. Proprio nel suo quartiere lo incontriamo ad una sua mostra. Insolita. A dieci (dieci, non venti) passi dalla vecchia casa di Gregorio Scilitan (adesso sede sindacale, dicono) è aperto un locale di fascinose attualità. Sulla porta “Winebur/Food”. Dalle dieci di sera in poi si cena anche. Ma, sui biglietti d’artista, c’è la sigla: “Politeama Gallery”, che gestisce gli “eventi” di Politeama Arte. Diretto da Giuliano Maroder. Si beve, si assaggia tutto il giorno. Indirizzo: Lungotevere Raffaele Sanzio 1/A. Tel 06/5818868. Alle pareti i quadri di Umberto Ippoliti. Per titolo “Carte segrete”. Il catalogo? Il suo nome ripetutissimo. Presenta il pittore La Foresio, che a Roma coordina anche, con Tiziana Todi, lo spazio Galleria Vittoria, dove Ippoliti sarà ospite dal 4 dicembre. La mostra, quindi, è una accoppiata, inserita in un progetto che mira al recupero di un collezionismo discreto, personalmente invitato. Si propongono autori già affermati, come Ippoliti, ma con l’impegno di assicurarne un prosieguo di successo, tale da aumentare valori, prestigio. Il nostro Ippoliti dal 4 dicembre sarà in Via Margutta 103. Tanti sanno chi è Umberto Ippoliti. C’è in lui il coraggio di essere sempre “nuovo”, nel senso di sentirsi rinnovato: sulla tela, o sostiuto. Come? Oggi il coraggio di sentirsi davvero nuovo appare facile. Basta affermarlo. Ma il pubblico deve decidere. per Ippoliti il pubblico appare preso da una semplicità, meccanicamente congegnata su moduli di modernità assaporata, resa propria, riversata con propria forma, riversata con propria forma. “Cara Madre” è un quadro. Sua madre. Ma è stranamente, anche nostra. Almeno idealmente. “Il Trofeo” è una cosa che non si sa che cosa sia, anche se è “il trofeo”. Ci appartiene. “L’Angelo ribelle” è ognuno di noi. Tutto condotto, dipinto, reso con glaciale calorosità. “La pittura è scoperta di sé, trascrive Ippoliti nel suo biglietto di invito. La frase è da Jackson Pollok. Nel “se” ci siamo anche “noi”. Questo è il segreto.