Queste grandi carte trattengono il filo lontano di sogni e memorie trascorse, il colore come un mare s’addensa e si ritira lasciando scorgere l’inapparente: ombre e detriti, segni e memorie di un passato mai disperso.
Affiorano dal colore materiali, visi e fisionomie antiche, retaggi della Storia; archeologie, reperti urbani si coniugano con il senso attuale di una Storia che scansa la citazione per divenire semplicemente ombra del desiderio: Apollo, Dioniso, Flora Farnese, anche il sogno non è che un’ombra. Il suono dell’ombra.
Deturpazione di un feticcio, azione di strappo e ricostruzione rispetto alla verità di un’immagine. Deturpare nella sua accezione positiva significa per l’artista aggiungere e strappare frammenti, ritornare su un trascorso mai dimenticato del Tempo. Così un profilo ellenico, forse miceneo, emerge dal colore per poi fuggire mescolandosi tra le pieghe dell’ombra.
In questi lavori è evidente quanto ogni riferimento alla mitologia riannodi i legami mentali con un passato che ritorna: il volto, la riconoscibilità di una fisionomia oltrepassano l’attimo dell’inatteso per poi sprofondare in un oceano gonfio di ombre graffiate dal mondo. Dal Caos all’Omega. Affiorano sul filo della memoria immagini trascorse: cattedrali barocche, gotiche vengono proiettate su una superficie dura e incongrua oppure tessuta di segni minuti, ideogrammi strappati da un antico abbecedario cinese.
La mitologia è soltanto un pretesto, il punto di lancio per sogni e incubi, metafore dell’inconscio, la deriva di un’urbanizzazione violenta, lacerata. Per terra, sulla superficie, si addensano oggetti di recupero, quel che resta di un’umanità trascorsa.
Leggerezza e spostamento, Ippoliti narra storie attraverso la pittura; non è più l’artista ma il naufrago per antonomasia, colui che ricerca nell’arte un approdo che non troverà mai.
Lidia Reghini di Pontremoli